LETTERA AGLI EX-DIRETTORI – Andrea Bonacchi

Cari ex-direttori di ogni tipo, età e sesso,

ho deciso di scrivervi per condividere esperienze e riflessioni, consapevole che la situazione dell’ex-direttore è molto complessa e delicata. Ho maturato questa consapevolezza “sul campo” in quanto la vita mi ha posto nella posizione di ex-direttore di una sede provinciale di un Ente Morale e di ex- direttore di un Centro Studi e Ricerca.

Intanto intendiamoci su cosa intendo per “ex-direttori”: ex direttori sono tutti coloro che hanno rivestito un ruolo dirigenziale ma non lo occupano più. Un ruolo dirigenziale è un ruolo da capo: capoufficio, titolare di uno studio professionale o di una attività commerciale, capo di una azienda, presidente di una Associazione Culturale o di Volontariato, di un Ente Morale, di una Fondazione, responsabile di un partito politico o di una sua realtà territoriale, di un Ente Sindacale, eccetera eccetera…

Se siete “ex” direttori perché deceduti probabilmente adesso vi occupate di cose più interessanti e oggettivamente più importanti. Quanto scrivo non è quindi pensato per gli ex-direttori defunti. Peraltro va notato che alcuni enti e organizzazioni di provata solidità e durata plurisecolare hanno risolto il problema dell’esistenza di ex-direttori rendendo le cariche di vertice, cariche a vita; ne è un esempio la Chiesa Cattolica, dove l’esistenza di ex-Papi nella storia è un evento eccezionale.

Se siete arrivati a rivestire una carica dirigenziale ma vi siete sentiti in essa fuori ruolo, questa lettera non è per voi. Siete stati direttori per coincidenze e casualità, o forse per senso etico e di responsabilità là dove mancavano altri candidati; il vostro stato di “ex-direttori” segna un ritorno ad una normalità apprezzata e desiderata perché alleggerita di responsabilità, di ansie, preoccupazioni, tensioni interpersonali.

Questa lettera è pensata in particolare per coloro che si sono impegnati per raggiungere un ruolo dirigenziale, che hanno affrontato e sopportato fatiche e sacrifici per arrivare e rimanere a fare il “capo”, che hanno apprezzato la possibilità di dare un’impronta al lavoro e all’impegno del gruppo di persone che hanno coordinato, che hanno messo la propria anima in ciò che facevano sia che l’abbiano inteso come servizio a qualcosa di più grande di loro, sia che lo abbiano inteso come una occasione di autoaffermazione. Ancora più le mie riflessioni sono rivolte a coloro che dopo avere fatto il dirigente per del tempo, e dopo avere dismesso il ruolo di capo, continuano a operare nello stesso ente, o associazione, o azienda che gli ha visti al vertice. Le mie parole saranno allora meno utili – ma non del tutto superflue – per la categoria degli ex-direttori che hanno abbandonato il ruolo, e solitamente anche l’istituzione nella quale lo rivestivano, per pensionamento.

Desidero chiarire che le mie riflessioni non aderiranno al punto di vista della psicologia o sociologia delle istituzioni. Ogni passaggio di leadership è infatti per un ente, associazione, partito politico, contesto professionale un evento di grande importanza che spesso scatena dinamiche trasformative nella vita del gruppo di persone coinvolte molto intense, se non addirittura vere e proprie crisi. Queste crisi talvolta portano a conflitti interpersonali e grossi investimenti e dissipazioni di tempo, di energie, di risorse umane e materiali. La buona gestione a livello istituzionale dei passaggi di leadership dovrebbe essere attentamente studiata e insegnata soprattutto ai gruppi dirigenziali. Le mie parole non vanno a dare un contributo in tal senso ma sono una piccola riflessione che spero utile per ciascun individuo “ex-direttore”.

Fatte tutte queste premesse tuffiamoci nell’analisi della condizione di ex-direttore o ex-capo.

Sapete cosa è il “ruolo del direttore”? Un ruolo è qualcosa che gli altri ci riconoscono ed un insieme di cose (comportamenti, atteggiamenti, prese di posizione, ecc) che gli altri si aspettano da noi in base a ciò che siamo. Se io ad esempio rivesto il ruolo di medico di medicina generale, quello che molti chiamano medico di famiglia, i miei assistiti si aspetteranno da me che sia gentile, disponibile, competente nel fare diagnosi e nello stabilire delle terapie. Se rivesto il ruolo di autista di un mezzo pubblico, le persone che salgono sull’autobus da me guidato si aspetteranno che le conduca lungo il solito percorso della linea, che sia prudente e rispettoso del codice stradale. Il ruolo del direttore è quindi l’insieme di cose che gli altri si aspettano da una persona per il fatto che quella persona è il capo. Se smette di essere il capo, non se le aspettano più. Se alcuni se le aspettano ancora per abitudine consolidata nel tempo questo può creare confusione di ruoli tra i vecchi leader e i nuovi.

Sapete cosa è la “sub-personalità del direttore”? Non è intanto il “ruolo del direttore”; una subpersonalità è una parte della nostra personalità, del nostro modo di essere a livello psicologico, che poi può esprimersi in comportamenti, atteggiamenti, modi di relazionarci. Una subpersonalità fa parte di noi anche se gli altri non ce la riconoscono o non la notano. La  “sub-personalità del direttore” ha come aspetto centrale il nostro desiderio di coordinare un gruppo di lavoro verso la realizzazione di una attività, di un fine, di un obiettivo. Altro suo aspetto centrale è la paura di essere messi da parte e che il gruppo non tenga presente la nostra volontà, il nostro modo di fare le cose, i nostri valori e le nostre competenze. La subpersonalità del direttore può utilizzare, se la persona in qualche misura le possiede,  una serie di competenze e qualità come ad esempio: la capacità di analisi, l’ascolto empatico, la determinazione, il coraggio, la tenacia, lo spirito di sacrificio, l’intelligenza, la capacità di coordinare, la capacità di apprezzare e gratificare i collaboratori, la capacità di motivare gli altri al raggiungimento di uno scopo, gentilezza associata a forza d’animo. Parimenti la subpersonalità del direttore può esprimersi attraverso alcuni difetti e limiti della persona quali ad esempio: egocentrismo, tendenza alla prevaricazione, impazienza, mancanza di empatia, ansia, sfiducia, invidia, insicurezza, incapacità di delegare. La “sub-personalità del direttore” tanto più è presente e pronunciata nella nostra psiche e tanto più spinge per trovare espressione nella nostra vita. Si può lasciare o perdere un ruolo di “direttore” o leader, e spesso questo passaggio avviene in modo rapido se non addirittura brusco, ma non è altrettanto rapido il ridimensionarsi della “sub-personalità del direttore”.

Talvolta cessa il ruolo di capo e si è pronti a lasciare che si ridimensioni la nostra “sub-personalità del direttore”. Molti, arrivati alla pensione, non vedono l’ora di occuparsi di altro, di esprimere nella propria vita altre sub-personalità, altre energie vitali, altre sfaccettature della propria personalità: emergono sub-personalità del viaggiatore, o del nonno, o del giardiniere, o del ballerino di tango, o del collezionista…

Se la “sub-personalità del direttore” continua a premere per esprimersi anche quando il ruolo del capo non si ha più, cosa fare?

Fondamentalmente ci sono due strade.
La prima strada è trovare altri contesti in cui provare a tornare ad avere un ruolo di capo. A volte questo è possibile e può portare a situazioni anche gratificanti. Un ex-capo, che torni a giocare questo ruolo arricchito delle esperienze precedenti, può farlo in modo migliore, più efficace e maturo. La ricerca di un ruolo di capo, anche per coloro che sono già stati direttori, è comunque spesso fonte di tensioni, stress, fatica, sacrifici, conflitti con altre persone. Altre volte la “sub-personalità del direttore” stenta a trovare espressione in nuovi ruoli di leadership, nonostante i più strenui tentativi, ed è causa di molte frustrazioni. A volte ci si accontenta di imporre questo ruolo in ambienti ristretti come la casa o la famiglia.

La seconda via è quella di lavorare a domare e stemperare la “sub-personalità del direttore” dentro di noi. Questo lavoro sarà più facile se siamo in pensione o se abbiamo cessato di operare nelle realtà istituzionali dove avevamo un ruolo di capo. Molto, ma molto più difficile, se rimaniamo all’interno dell’istituzione.

Come rimanere serenamente a operare all’interno di una istituzione dove in passato abbiamo giocato un ruolo di capo?

Come già accennato la posizione di ex-direttore all’interno di un certo contesto lavorativo, di volontariato o altro e difficilissima e al centro di dinamiche interpersonali molto forti. Difficilmente si riesce a trovare un nuovo ruolo con buona pace di tutti. Quindi, se proprio non accettiamo una uscita di scena, dobbiamo lavorare affinché esca di scena la nostra “sub-personalità del direttore”, cioè affinché non sia percepibile agli altri. La cosa migliore è che tale sub-personalità si ridimensioni dentro di noi, ma comunque è fondamentale che essa non si esprima più.
Per rimanere a operare serenamente e con buoni rapporti interpersonali all’interno di una organizzazione sociale che ci ha visti leader ogni manifestazione esteriore della “sub-personalità del direttore” deve morire (così come ha cessato di vivere il nostro ruolo di direttore). Ogni comportamento da direttori, ogni atteggiamento che ricordi quello del capo, sono infatti percepiti dalla nuova leadership come inopportuni, se non addirittura fastidiosi o minacciosi.
Deve morire il nostro desiderio di vedere le cose fatte e organizzate in un modo che sentiamo affine ed efficace.
Deve morire il nostro desiderio di sentirci speciali, al di sopra degli altri e delle regole, migliori.
Deve morire il desiderio di sentire da parte di altri apprezzamento, riconoscimento, gratitudine.
Deve morire il nostro desiderio di essere un punto di riferimento.
Deve morire il desiderio di coordinare sottogruppi.
Deve morire il nostro desiderio di sentirci utili, se non fondamentali; possiamo rimanere disponibili e a servizio dell’istituzione per i bisogni del momento e le necessità riconosciute dalla nuova leadership.
Deve morire il nostro orgoglio che prova piacere dall’osservazione del fallimento di iniziative e modi di fare che si discostano da quelli che avevamo adottato durante la nostra leadership.
Probabilmente c’è molto altro che deve morire nell’ex-direttore perché possa continuare a vivere serenamente in un ente dove in passato ha rivestito ruoli di leadership,  ma credo che il concetto e la direzione che ho espressi siano chiari.

In questa seconda via si possono fare delle scoperte molto profonde e preziose. Solo se si muore ad un ruolo da direttore possiamo nascere veramente in un altro, all’interno della stessa istituzione. Solo se alcune subpersonalità sono circoscritte dentro di noi, altre possono avere spazio ed espressione. Tenete presente che spogliarsi di un ruolo di capo può avere risvolti molto belli; si possono fare esperienze che al capo sono solitamente precluse come ad esempio il prendere le cose con leggerezza, un investimento di tempo ed energie negli affetti, un tempo tranquillo da dedicare a ciò che ci fa bene e ci fa divertire.

Inoltre, solo se si è imparato a morire come leader si può tornare a fare il capo con saggezza e maturità.

Un caro saluto a tutti gli ex-direttori,

Andrea Bonacchi