LA VULNERABILITÀ, LA CURA, IL FIORIRE – Erika Agresti

Questi giorni che ci vedono a casa, con mobilità limitata, talvolta per qualcuno costretta, custodiscono fatiche e possibilità. Sia per chi si trova in solitudine sia per chi invece è costretto a convivere con altre persone in modo costante ed in una situazione nella quale abitudini e definizioni di tempi e spazi si sono modificate, è un momento di forte contatto con le parti di sé da cui quotidianamente si riesce a fuggire con abili evitamenti e distrazioni.

Nel momento nel quale le vulnerabilità emergono e le ferite più o meno antiche fanno sentire le loro cicatrici, diventa importante una attenta manutenzione: di sé, delle relazioni, degli spazi, dei progetti…. I nodi vengono al pettine e la cura è necessaria, forse un balsamo che aiuti a districare i fili, forse la scelta di quali ciocche privilegiare e quali tagliare. Un po’ come un giardiniere che nella potatura immagina quali dei fiori della pianta potranno meglio fiorire, dare forma all’energia della pianta.

Mi pare di vedere in me e nelle persone che mi circondano, una grande possibilità di conoscere ( conoscere noi e conoscere gli altri). L’irruenza di sogni, dei sintomi, delle emozioni possono rappresentare una pista preziosissima per la nostra consapevolezza, la nostra possibilità di riconoscere l’ essenziale e di prendercene cura, di accoglierlo, dargli spazio, di farlo dialogare con la nostra personalità e di integrarlo nella quotidianità. Possiamo anche rifiutare questi messaggeri, possiamo arrabbiarci e sedare l’ansia con farmaci prima ancora di ascoltarla, è nella nostra libertà difenderci.

Ma il tema che vorrei portare in questo scritto ha a che fare con la cura e per parlarne chiedo aiuto al lavoro di Luigina Mortari che tanto pensiero vi ha dedicato.

La cura è necessaria, profondamente necessaria, tanto che senza di essa noi non vivremmo. Da quando nasciamo risulta chiaro: se nessuno si prende cura di un neonato, questo muore. Ma anche quando cresciuti diventiamo adulti e autonomi la stessa cura che abbiamo ricevuto dobbiamo continuare ad esercitarla (almeno) a nostro favore. Tutti i giorni è necessario per noi procurarci cibo, accompagnare le trasformazioni del nostro corpo, sostenere con energia le azioni che ci permettono di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno tra cui affetto, stima, appartenenza…. “Per tutta la vita l’essere umano si trova a doversi occupare di sé, degli altri, delle cose”.

Nello scegliere poi di cosa prenderci cura definiamo chi siamo: è dove dirigiamo le nostre energie che ci dà forma, che ci caratterizza, che sostiene la nostra identità. Mi ricordo di un esempio in un vecchio libro di neuroscienze che riportava l’enorme plasticità del nostro cervello e la sua disposizione a sviluppare aree e connessioni tra i neuroni a seconda delle scelte che l’individuo compie. Una persona per esempio che si occupa di fotografia tenderà via via a guardare il mondo immaginandosi delle possibili inquadrature e quindi selezionando una parte per il tutto, acquisirà un linguaggio che presuppone un lessico specifico, probabilmente interagirà con altre persone interessate agli stessi discorsi. Ogni azione che noi facciamo, pensiero, immagine ha un corrispettivo neurobiologico e la consapevolezza di questo continuo dialogo tra esperienze e cervello, come si intuisce, può darci la possibilità di considerare che ogni nostro atto ha una conseguenza ad un livello molto profondo: abbiamo la possibilità di agire su noi stessi e trasformarci.

Al centro di questo discorso c’è quindi una scelta, più o meno consapevole che rimanda alla visione di Assagioli e della sua Volontà, intuizione che sempre di più mi pare preziosa. La scelta della cura, attuata in contatto con la volontà, ci permette di essere, di esistere, di vivere. La cura, dice Mortari, risponde all’angoscia che tutti abbiamo più o meno consapevolmente di non essere, di morire, di non esistere; conserva la forza vitale ed addirittura ci permette di “fare fiorire l’essere”. E’ una azione che ci porta oltre al momento presente, si tratta della costruzione di uno spazio vitale in cui dare completa realizzazione alle nostre possibilità.

Ma per dare forma alle proprie potenzialità occorrono quotidiani gesti di cura. Occorre che l’attitudine alla cura sia continua: poichè l’ “esistenza è incerta ed in continuo divenire il fiorire è un continuo movimento” e mai ci è dato di sentirci sicuri. Chi ha fede potrebbe parlare di compiere la propria vocazione, altri potrebbero paragonare questo percorso all’autorealizzazione.

Questo fiorire, introdotto dalla filosofia con il termine “fluorishing life”, trova riferimento nella filosofia antica: Aristotele parla di Eudemonia che è stato tradotto come felicità, nel senso di essere in compagnia di un demone buono. Ma la felicità è connessa nella sua visione con l’aspetto della virtù e la virtù è strettamente connessa all’azione: il virtuoso, dice Ricciardi rileggendo il filosofo antico, ha imparato a comportarsi in modo morigerato e ciò si realizza anche attraverso una disciplina. La virtù dà importanza al fare: la fioritura, la realizzazione parte da aspetti di vulnerabilità ma si realizza solo a seguito di scelte di cura e di azioni disciplinate e rispettose delle proprie personali caratteristiche.

Come interpretare questi concetti in questo momento?

Quali azioni di cura: del proprio corpo, delle proprie emozioni, dei propri immaginari, delle proprie azioni, delle relazioni possono nascere da questo momento di vulnerabilità? Quali possibilità, questo momento di limiti ci dà e che progetti emergono e possiamo finalmente ascoltare? Come utilizziamo la nostra energia in questi giorni: cosa guardiamo, ascoltiamo, da cosa facciamo determinare il nostro umore e la nostra visione di noi e degli altri? Abbiamo cura di noi?

Erika Agresti, 30 marzo 2020